I pittori del Rinascimento a Sanseverino
a cura di Vittorio Sgarbi


Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane 13, Roma. l mar_dom 9-19. Ch lun.
Ingresso intero £ 10.000 (euro 5); ridotto £ 8.000 (euro 4); per gruppi, militari, ragazzi di 6-18 anni e over 65 £ 5.000; fino a 6 anni, portatori di handicap e accompagnatori, insegnanti, accompagnatori di gruppi gratuito

''Il Rinascimento non ha periferia, ha un centro diffuso cui ogni luogo, si chiami Ferrara, Ancona, Sanseverino, e' capitale''. Cosi' Vittorio Sgarbi, ideatore e curatore della mostra 'I pittori del Rinascimento a Sanseverino' spiega la scelta di parafrasare il titolo del saggio di Berenson 'I pittori del Rinascimento in Italia'. Indicandola come antitetica a quella allestita alle Scuderie Papali del Quirinale, Sgarbi ha definito la mostra a Palazzo Barberini come una lente di ingrandimento su di una piccola porzione di territorio che ottiene il risultato di far emergere tutto il Rinascimento. ''Quella di Paolucci - ha detto invece riferendosi alle Scuderie - e' una mostra bella, ma fatta per i giapponesi, un'antologia di bellissimi quadri senza nessun rapporto fra di loro''. Dopo aver ottenuto un grande successo a Sanseverino, 25.000 presenze e consensi della critica, la mostra ''sbarca a Roma'' (per usare le parole del Sindaco di San Severino Fabio Eusebi) alla Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini per una seconda sessione dal 19 dicembre al 3 marzo 2002. Centrata principalmente sulle figure di Lorenzo D'Alessandro e Ludovico Urbani, la mostra si pone come l'ideale continuazione di un'altra mostra realizzata nel comune marchigiano dedicata ai fratelli Salimbeni. ''A segnare questo ideale collegamento - ha spiegato il dott. Stefano Papetti, curatore della mostra insieme a Sgarbi e al resto del comitato scientifico - abbiamo messo all'ingresso un affresco di Lorenzo Salimbeni 'Madonna in trono col bambino' accanto ad un affresco di D'Alessandro che permette di cogliere gli elementi di continuita' e quelli di innovazione''. La mostra e' costruita complessivamente per confronti, alle sedici opere di Lorenzo D'Alessandro e alle sette di Ludovico Urbani fanno da controcanto le opere degli artisti locali che, guardando con ammirazione a pittori come Niccolo' Alunno e Vittorio Crivelli operanti a San Severino, seppero creare una vera e propria scuola pittorica. Fra le opere piu' prestigiose sono da segnalare i polittici di Ludovico Urbani e Lorenzo D'Alessandro, che al di la' del loro valore pittorico si distinguono anche per le importanti cornici che denotano una particolare maestria nell'intaglio e nella doratura della bottega Indovini. Capolavoro della mostra e' il Polittico di Serrapedrona di D'Alessandro, restaurato per la mostra. Oltre alle opere dei due maestri Urbani e D'Alessandro e quelle dei pittori settempedani, nome originario dei sanseverini, la mostra propone le opere di grandi artisti rinascimentali che, transitando e operando nella cittadina marchigiana, hanno in qualche modo influenzato la scuola. Sono presenti in mostra: il maestoso polittico e la 'Madonna col Bambino in trono, Santi e donatori' di Vittore Crivelli, la tavola 'Madonna col bambino, due angeli e il donatore' del Pinturicchio, il polittico di Niccolo' detto l'Alunno 'Madonna in trono con Bambino ed Angeli musicanti e Santi''. Nell' allestire la mostra i curatori hanno trovato non poche difficolta' per ottenere tutte le opere, molte delle quali sono in mostra per la prima volta in Italia, come per esempio il 'Cristo tra S. Pietro e S. Paolo' di D'Alessandro proveniente da Zagabria, la tavola di Urbani 'Madonna con bambino e santi' ''scoperta'' da Sgarbi nella collezione privata Caltagirone. Caso a se' e' stato quello invece della 'Madonna col Bambino e Santi' detta 'Madonna del monte' di Lorenzo D'Alessandro a Caldarola che l'Arcivescovo Fagiani non voleva concedere per la sessione romana della mostra. La diplomazia del Sottosegretario Sgarbi ha convinto l'Arcivescovo e la Madonna e' arrivata a Roma, per ora garantita fino al 7 gennaio, ma Sgarbi confida di riuscire a prolungare il prestito. Il catalogo della mostra, a cura di Vittorio Sgarbi e Stefano Papetti, e' edito da Federico Motta Editore. (ANSA). Y08
18/12/2001 16:35

giovedì 31 gennaio 2002

Nell'introduzione al catalogo Vittorio Sgarbi richiama il forte legame che sempre dovrebbe esserci sempre tra cultura e politica. In effetti questo legame c'è eccome, in questo libro, dove l'arte è sottoposta a un'analisi, sì scientifica, ma per alcuni versi politicizzata. Ed è sempre Sgarbi a darcene la chiave di lettura. Sanseverino è già stato terreno di guerra, tra lui e Federico Zeri. Quest'ultimo negli anni Quaranta aveva analizzato da vicino l'arte marchigiana quattrocentesca, rivalutando specialmente l'operato del pittore Ludovico Urbani. Conoscendo questi retroscena, peraltro dichiarati, l'enorme risalto che la mostra e il catalogo danno al suo più o meno coetaneo e conterraneo Lorenzo D'Alessandro fa sorgere qualche sospetto. È merito di Antonio Paolucci aver riesumato per primo l'opera, documentata o attribuita, di questo pittore. I suoi studi sono la base per i saggi di questo catalogo, che aggiungono molte notizie inedite e utili considerazioni per chi si vuole avvicinare, studioso o amatore, a questi argomenti.
Nel catalogo, tuttavia, anche se il proposito era di considerare l'intera arte sanseverinate nel Quattrocento, su sette corposi saggi uno solo è dedicato all'opera di Ludovico Urbani. Gli altri sono riservati ai rapporti tra i Sanseverinati e altri pittori specie umbri, all'opera dell'intagliatore Domenico Indivini, alla pittura marchigiana "al tempo di Lorenzo d'Alessandro", e ben tre (per l'esattezza due e mezzo) allo stesso Lorenzo d'Alessandro, il cui operato è assai meglio valutato rispetto a quello dell'Urbani. è vero che la mostra coglie l'occasione del quinto centenario della morte del d'Alessandro. Ma alla base di questa (sopra)valutazione c'è forse dell'altro. Sanseverino è vista in chiave politica. Ma non quella del Quattrocento, cosa che avrebbe gettato assai più luce su questi artisti. Quella odierna. Sanseverino è ancora oggi, nonostante i morti, terreno di guerra. Tra Sgarbi e Zeri.


venerdì 4 gennaio 2002


San Severino è oggi una tranquilla cittadina delle Marche. Ma tra il XIV e il XV secolo dava filo da torcere a Firenze e Venezia, oltre che alla vicina Urbino. E al pari dei rivali, per difendere la propria identità, utilizzava anche l'arte. È così che questo piccolo centro ha dato il suo contribuito alla civiltà del Rinascimento. È ciò che ha inteso ricordare Vittorio Sgarbi, promotore della mostra che ha voluto portare, dopo una prima tappa a San Severino, anche a Roma. Per chi ha già visitato la mostra sul Rinascimento allestita alle Scuderie Papali, è una felice e istruttiva coincidenza. Proprio dal confronto con l'arte dei centri "minori", emergono l'estrema complessità e la ricchezza di un'epoca che spesso si tende troppo a semplificare.

 

Aprono la mostra le poche opere certe o stilisticamente attribuite - a volte inspiegabilmente - ai due artisti locali di fine Quattrocento: Lorenzo d'Alessandro e Ludovico Urbani. Segue una sezione dedicata agli artisti non locali ma che lavorarono nel territorio. Qui colpiscono i grandiosi polittici di Niccolò Alunno e di Vittore Crivelli. E una tavola del Pinturicchio che da sola meriterebbe la visita di questa mostra. È evidente nelle opere il legame con la tradizione locale tardogotica dei fratelli Salimbeni e di Gentile da Fabriano. Legame voluto, tant'è che era ancora vivo allo scorcio del XVI secolo, sia pur coniugato con rimandi a Signorelli, Piero della Francesca, Carlo Crivelli e Mantegna. Emerge chiara l'immagine che San Severino voleva dare di sé: forte della propria identità ma capace di stare al passo con i tempi. E con i concorrenti.
Tuttavia nella mostra non affiora il connubio tra l'arte e il contesto politico-territoriale che l'ha generata. Forse non era nelle intenzioni dei curatori, i quali, anzi, si fregiano di aver avuto in prestito opere che per cinquecento anni erano miracolosamente rimaste al loro posto originario nelle chiese per cui erano state create. Il risultato è però che esse appaiono snaturate, perché strappate dal loro contesto. Mancano pannelli che spieghino il percorso. Le poche righe di commento a ciascuna opera, in caratteri quasi illeggibili, omettono essenziali informazioni sulla cronologia o sulle inusuali iconografie, mentre invece si dilungano con linguaggio pomposo sulle vicende critico-attributive. Il pericolo è che il pubblico dei non addetti ai lavori, costretto alla pura fruizione estetica, torni a casa con negli occhi il brillare dell'oro e dei colori, ma nient'altro.

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Sara Magister
mostra visitata il 18.XII.2001