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Nel 1740 l'architetto Domenico Bianconi di Fano venne incaricato di progettare la prima struttura teatrale da collocarsi nella parte bassa della città
attorno alla piazza maggiore, sovvenzionata dai condomini o palchettisti, rappresentanti delle facoltose famiglie sanseverinati che avrebbero posseduto
al loro interno i propri palchi.
Sino ad allora le rappresentazioni si erano svolte all'interno delle sale da ricevimento delle nobili residenze o nella
sala pubblica del palazzo consolare; probabilmente si organizzavano spettacoli anche all'interno dei cortili signorili e versatile all'uopo doveva essere
quello del palazzo dei Margarucci, porticato su tre lati.
Senza alcuna particolare attenzione all'aspetto esteriore del pubblico edificio il Bianconi
inserisce la struttura all'interno del tessuto urbano in luogo dell'attuale sito; nel rispetto della tradizione tipologica del teatro da sala barocco
all'italiana, ripropone nel suo schema planimetrico l'auditorium a forma di campana, circondato da una struttura a tre ordini di palchi, 15 per livello,
e da loggione superiore.
Il complesso si dimostrò ben presto, come tutti i teatri lignei dell'epoca, poco sicuro, sia per l'infiammabilità dei materiali sia per
la ristrettezza delle vie d'uscita; la questione venne fronteggiata solo all'inizio dell'Ottocento con la decisione di demolirlo completamente e
ricostruirlo in solida muratura.
La congregazione dei Condomini stabilì di affidare il progetto al un giovane e brillante architetto sanseverinate,
Ireneo Aleandri che già stava realizzando a Macerata lo Sferisterio (1821-1829).
Nella progettazione egli prese come modello il teatro Lauro Rossi del
capoluogo, realizzato nel 1767 da Cosimo Morelli, su originario progetto di Antonio Galli Bibbiena. Si riconoscono infatti come elementi tipicamente
bibbieneschi i pennacchi, che si dipartono dagli archi del loggione, impostati su colonnine e capitelli, a sostegno della volta a plafone; soluzione
che qui adotta per la prima volta e che poi riproporrà con qualche variante per meglio armonizzare le unghiature settecentesche alla decorazione
neoclassica dei palchi, nelle successive progettazioni dei teatri Nuovo di Spoleto, Cicconi di S. Elpidio a mare, comunali di Treia e Pollenza;
mentre gli venne proibito nel Ventidio Basso di Ascoli Piceno.
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L'auditorium nella sua nuova forma a ferro di cavallo continuò ad essere circondato
dai tre ordini di palchi più loggione, ornati in maniera più sobria da parapetti a fascia e da paraste all'estremità dei tramezzi. Dalla relazione
storico-artistica della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Ancona, redatta in occasione dei restauri del 1960, si riportano le seguenti osservazioni:
«L'eguaglianza dei palchi di ciascun ordine, l'assenza di aggetti e di elementi individualizzanti testimoniano la destinazione principale del teatro
all'uso mondano di una classe borghese suscettibile e attenta al prestigio personale e familiare che mal sopporta esibizioni esteriori per la rispettabilità
e il decoro. Il solo settore dei palchi centrali conferirà un prestigio di superiorità del capitale, ma non di distinzione in senso sociale. ..
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La forma della
sala, che tende a rinchiudersi verso il proscenio, accentuava il carattere di spettacolo nello spettacolo del rito di esibirsi nelle occasioni mondane.»
Rispetto alla precedente distribuzione planimetrica venne ridotta la profondità di scena, compensata dagli effetti prospettici delle quinte,
che offrivano visuali sempre più coinvolgenti al pubblico assiepato nei palchetti. Nel retro scena vennero accorpati gli spazi di due edifici prospicienti
via Massarelli, uno alto tre piani fuori terra, l'altro quattro, ove si ricavarono camerini. Il forte dislivello tra la piazza e la via Massarelli pone la
quota del piano terra dei camerini a cinque metri d'altezza rispetto a quella dell'auditorium; a tali ambienti si accede quindi attraverso una scala in ferro
mentre il piano interrato funge da magazzino. A questo volume posteriore l'Aleandri ne contrappose uno anteriore con vestibolo d'ingresso al piano
terra, cui si sovrapposero i due piani con le sale di riunione destinate al pubblico.
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La facciata in laterizio avanza sulla piazza con un portico a cinque arcate,
le cui modeste dimensioni non lo connotano certo come portico da teatro per l'accesso alle carrozze; in asse alle campate sono disposti i due ordini di finestre
riquadrate, coronate da cornicione in cotto.
L'intera decorazione pittorica della sala, in particolare la volta, il sipario e le balconate, fu commissionata
al pittore settempedano Filippo Bigioli. Egli elaborò a Roma i bozzetti che poi vennero materialmente eseguiti dal decoratore ascolano Raffaele Fogliardi.
Di chiara matrice neoclassica, il sipario mostra un tempio classico dedicato alla dea Feronia, davanti al quale la sacerdotessa Camurena Cellerina libera uno
schiavo, mentre sulla sinistra viene compiuto un sacrificio animale.
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La volta è decorata da otto riquadri ottagoni raffiguranti le Muse disposti concentrici
all'elegante medaglione centrale con lampadario; le tinte tenui del celeste, rosa ed ocra prevalgono sulle cromie dei decori, in particolare dei parapetti dei
palchi con figure di amorini, maschere e festoni. I lavori di costruzione dell'intera fabbrica furono svolti da Domenico, Pietro e Francesco Mochi. Il teatro
venne inaugurato il giorno 31 maggio 1828 con l'opera "Matilde di Shabran" di Gioacchino Rossini. Verso il 1878 fu presentato un progetto di abbellimento del
fronte con la chiusura del loggiato inferiore e l'apertura dei corrispondenti portali, la realizzazione di un loggiato con quattro imponenti colonne ioniche su
cui si aprivano i due ordini di finestre, l'intera composizione veniva sormontata da elegante frontone, ma il progetto non fu mai realizzato per motivi economici.
Dalla relazione tecnica del progetto di riparazione dai danni del sisma del 1997 si riporta la seguente perizia:«Oggi la struttura portante di tutto il teatro è
costituita da muratura in laterizio e pietrame a corsi regolari, con riempitura a sacco, già consolidata da iniezioni cementizie; mentre i solai sono tutti in
cemento armato. D'epoca rimane solo la struttura lignea del tetto nel corpo di fabbrica comprendente la platea, il palcoscenico e la scala di sicurezza, oltre
al soffitto in camorcanna della platea. In questo corpo di fabbrica sono state sostituite anche le capriate lignee con altre in acciaio che reggono la struttura
estradossale della volta in camorcanna». Fu eseguito un restauro nel 1913 e nel 1960, visto lo stato di abbandono in cui era di nuovo caduto l'edificio, vi fu la
proposta, da parte di un ben noto speculatore locale, di trasformare il teatro per ricavarvi una moderna sala da cinema e albergo soprastante. Fortunatamente l'idea
non fu accolta e la piazza in quegli anni non venne ulteriormente deturpata. Fu nel 1960 che la sovrintendenza realizzò il primo restauro e con decreto del
21 febbraio 1961 il monumento venne sottoposto a vincolo diretto ai sensi della L. 1089/'39. Nel 1963 si tornava a declamarne lo stato di abbandono, i condomini
non erano in grado di far fronte alle spese di restauro per cui vi era la necessità di un acquisto da parte del Comune, vivamente caldeggiato anche da un intervento
del '64 da parte dell'associazione Italia Nostra. Con delibera consiliare n. 38 del 04/04/1968 i condomini donarono il pubblico edificio al Comune che solo negli
anni '80 provvide a restaurarlo definitivamente e quindi a riaprirlo al pubblico nel 1985.
arch. Debora Bravi
Bibliografia
--R. PACIARONI, A. PELLEGRINO, L'attività teatrale a San Severino nel XVI e XVII secolo, in «Miscellanea settempedana», n.2, 1979.
-- AA.VV. Ireneo Aleandri, un professionista dell'architettura dell'Ottocento, catalogo della mostra a cura di L.Di Marco, A.Montironi, L.Mozzoni, A.Verducci., San Severino M., 1987.
-- F. Mariano, Il teatro nelle Marche, Firenze 1997.
-- AA.VV. Il teatro nelle Marche, a cura di F.Mariano, Firenze, 1997.
--P.L. CERVELLATI, F. BATTISTELLI, Le Marche dei Teatri. 1 Ascoli Piceno e Macerata, Milano 1999.
--AA.VV., In viaggio con l'architetto Ireneo Aleandri, a cura di L.M.Cristini e F.Mariano, Macerata, 2004.
IL TEATRO FERONIA DI SAN SEVERINO
di Laura Gori
Il forte legame che lega il piccolo centro di San Severino al teatro nasce in tempi lontani: fin dal Cinquecento il borgo marchigiano ospita numerose
rappresentazioni teatrali nelle grandi sale dei palazzi nobiliari, appositamente allestite con lo scopo di dilettare un colto e raffinato pubblico aristocratico.
Ben presto però, a questi piccoli ed elitari palcoscenici, viene ad affiancarsi la sala del Teatro Pubblico, allestita presso il Palazzo Consolare di S. Severino
al Monte.
Agli inizi del Settecento lo stato fatiscente dell'antico Palazzo Consolare e la sua inevitabile demolizione lasciano il pubblico sanseverinate senza una struttura
pubblica, capace di ospitare spettacoli teatrali e opere musicali.
Trascorrono alcuni decenni prima che si giunga all'inaugurazione nel 1747 del Teatro de' Condomini. Ben presto però anche questo edificio comincia a presentare non
pochi inconvenienti: interamente costruito in legno, il teatro è spesso soggetto a numerosi incendi e soprattutto troppo antiquato rispetto alle nuove esigenze
sceniche.
Nasce così il nuovo Teatro Feronia, il cui progetto viene affidato nel 1823 all'architetto sanseverinate Ireneo Aleandri (1795-1885).
L'Aleandri, diplomato all'Accademia di San Luca a Roma, aveva già progettato alcuni edifici a San Severino come la Porta Romana, la Fonte della Misericordia
e il Palazzo Margarucci.
La progettazione del nuovo teatro presenta non pochi problemi al giovane architetto, fra cui la difficoltà di edificare la nuova struttura nello spazio angusto
del precedente teatro. Malgrado ciò l'Aleandri riesce a creare una costruzione elegante e slanciata con pianta a ferro di cavallo, platea e tre ordini di palchi
sormontati da un loggione. La decorazione viene affidata ai pittori Filippo Bibiena e Raffaele Fogliardi, mentre il pittore sanseverinate Filippo Bigioli si
occupa dei bozzetti per le pitture destinate alla volta e al sipario che raffigura Camurena Celerina, sacerdotessa della Dea Feronia, nell'atto di liberare uno schiavo.
La solenne inaugurazione del teatro avviene nel 1828 con l'esecuzione delle opere di Rossini "Mosè in Egitto e Matilde di Scabran": da quel momento in poi sarà
proprio l'opera lirica la vera regina della scena di San Severino, con una programmazione attenta alla raffinatezza e alla novità delle opere proposte al pubblico.
Purtoppo però nel corso del Novecento gli spettacoli divengono sempre più sporadici, fino a quando nel 1922 la grande stagione della lirica si conclude con la messa
in scena dell' "Andrea Chenier" di Umberto Giordano, interpretato da grandi personaggi della lirica come il soprano Mercedes Llopart e il tenore Jesus Gaviria.
Speriamo che questa grande realtà scenica possa rinnovarsi e ridare lustro a questo splendido teatro neoclassico, che nella sua eleganza e nella sua lunga tradizione
nulla invidia ai più blasonati teatri delle grandi città.
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